Non importa che nomi dai al tuo dio, alla tua dea; ai tuoi spiriti guida. Quello che conta davvero sono le azioni che compi in nome di essi. Versare sangue, umiliare, torturare fisicamente e psicologicamente: non saranno mai né in cielo né in terra né motivo di vanto, né tanto meno un compito divino.
L’11/02/2021, su Sudinfo.be, da autore non pervenuto, è uscito un articolo sulla persecuzione degli Uiguiri. Le giustificazioni del genocidio di questo gruppo etnico nasce da moventi religiosi: un gruppo di buddisti cinesi ha cominciato a perseguitare gli abitanti dello Xinjiang di religione musulmana. Il 19/01/2021, su La Repubblica, è stato pubblicato un articolo, sempre da autore anonimo, sul medesimo argomento.
La moglie del Leprotto Bisestile lo sta aspettando per dormire. Ma non vedendolo arrivare, ella si alza ed in un bel cielo stellato si perde una zampata dopo l’altra imparando a nuotare…
Oggi, voglio semplicemente suggerirvi un’illustratrice che, secondo me, è davvero brava. Ha proprio un bel talento, e mette molta cura in quello che fa! Vi consiglio di fare un giro sia sul suo profilo Pinterest, che sul suo account Instagram, entrambi creati con il nickname di julsiji, se ne avete la possibilità. La poesia di oggi è stata liberamente ispirata proprio dall’illustrazione che fa guise di foto profilo nel suo primo account nominato.
Soffio di vento si tatua come vena nel tempo. Urla, sopprusi, pianti… Strizzati fuori. Interrotti. Soffocati. Mai visti. Mai vissuti. Per ricamare sopra il tentativo di Damnatio Memoriae nel genocidio solo si può lasciar cucire su di noi il Ricordo. In nome di un Presente da cambiare.
Tra i quattro link che troverete qui sotto, ve li consiglio tutti. I primi due, rispettivamente uno spezzone “d’intervista” (non avevano davvero domande migliori da porre, ad una donna come Liliana Segre, che è stata deportata all’età di 13 anni, che ha dovuto smettere di andare a scuola ad 8, e che, che io sappia, deve ancora far uso della scorta per via delle minacce razziali che le sono giunte poco tempo dopo essere stata nominata senatrice a vita, in nome di quanto aveva vissuto e della sua lotta contro l’anti-razzismo? Che, comprensibilmente, non avrà avuto un po’ il modo, ma soprattutto la fantasia, di avvicinarsi concretamente e di aprirsi realmente al mondo della tecnologia?) pubblicato il 25/01/2021 dal canale youtube IULM Università, ed una live del 26/01/2021 messa in linea il 27/01/2021 dal Palazzo Chigi, mi sento di suggerirli più che altro per leggere i commenti ed osservare le dinamiche con le quali si sono svolti i suddetti incontri. Il terzo link, invece, è un video del 20/01/2021 di Racconti in soffitta, che ci riporta la storia illustrata di Tomi Ungerer “Autobiografia di un orsacchiotto”. Ed il quarto, un articolo di Il Tirreno, giornale regionale della Toscana, scritto da Stefano Tamburini e pubblicato proprio oggi, il 27/01/2021. Questi ultimi due, ve li consiglio di cuore. Li troverete tutti, ad ogni modo, subito dopo la poesia “Se questo è un uomo” di Primo Levi:
Se questo è un uomo
Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici: Considerate se questo è un uomo che lavora nel fango che non conosce pace che lotta per mezzo pane che muore per un sì o per un no. Considerate se questa è una donna, senza capelli e senza nome senza più forza di ricordare vuoti gli occhi e freddo il grembo come una rana d’inverno. Meditate che questo è stato: vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore stando in casa andando per via, coricandovi, alzandovi. Ripetetele ai vostri figli. O vi si sfaccia la casa, la malattia vi impedisca, i vostri nati torcano il viso da voi.
Fuliggine cosparsa lungo tutto il corpo mi fa scomparire. La lascio fare: io voglio scomparire. Il mio respiro è troppo appiccicoso: si appiccica all’immensa voglia che ogni parte di me ha di vomitare. Rinnego la proprietà di ogni frammento che porta scritto il mio nome: non voglio più sentirmi, io che non mi appartengo più da tempo. Per favore. Quante risate, quante battutacce da “omaccioni virili” e da “donne moderne” sono state buttate addosso all’abuso, al dolore, all’atto del più completo omicidio di me stesso; della mia depersonalizzazione personale. No, non mi sento un figo… No, non ho provato piacere. Non voglio sentirmi più niente. Non provo più niente all’infuori della sensazione di star scomparendo un pochino ad ogni macchia di fuliggine che su di me si tatua prendendo lentamente, inesorabilmente; in maniera assuefacente ed anestetizzante forma…
Ed oggi, proponendovi la lettura dell’articolo pubblicato su La Stampa il 01/12/2020, scritto da Fabio Albanese, e di quello di Carlotta Sisti su Elle, del 18/12/2020, voglio parlare nuovamente di pedofilia ma, in particolar modo, di pedofilia al femminile e, di riflesso, delle violenze subite dal genere maschile. Di norma, non guardo, né tanto meno mi sentirei di consigliare, la visione del programma Le Iene, ma il loro reportage suggerito, appunto, dalla rivista Elle, mi è sembrato, in questo caso particolare, non solo raccontare una storia che, si spera, terminerà con un processo vinto dal ragazzo che è stato vittima di tali abusi, nonché, soprattutto, con la fine di una terapia che lo aiuterà a vivere una vita migliore, più stabile e serena; ma mi è addirittura sembrato che i dati e le analisi riportati in tale reportage potessero risultare utili, ed importanti da ascoltare, per non poche persone. Nell’articolo di La Stampa, si parla, invece, di una coppia pedofila, che ingannava, manipolava ed abusava di ragazzini di ambo i sessi. Si osa sperare, anche per loro, in una reale giustizia, ed in un loro riuscire a tornare a vivere. A provare che possono ancora sentirsi bene, apposto con se stessi. Tutti loro, amati, e di riuscire ad amare. La sofferenza non ha genere. Credo sia importante che le violenze subite da qualunque essere umano (anche dai trans, quindi, ovvio) possano trovare il modo di essere denunciate; e, soprattutto, che le vittime di queste violenze possano ottenere giustizia, ed avere mille e una occasioni di ricostruirsi. Di sentirsi felici.
Foglie dai colori avariati di appiccicosi e soffocati silenzi. Corteccia di pelle putrefatta pronta a staccarsi dal corpo al minimo soffio di vento: le anime prosciugate della loro speranza nella vita continuano a giacere addormentate sotto gli alberi dei loro cadaveri.
Il primo post dell’anno non solo arriva lievemente in ritardo, ma si rivela essere pure su un argomento che di gioioso ed ottimista ha ben… No, nulla. È un argomento che di gioioso ed ottimista non ha proprio nulla di nulla: il suicidio. Più precisamente, il suicidio in Giappone. Non soltanto, come ce lo spiega l’articolo del 16/01/2021 del sito askanews, di autore o autori non pervenuti, i suicidi sono aumentati ma, a Tokyo, vi è la foresta Aokigahara, anche conosciuta con il nome “La foresta dei suicidi”, come potrete constatare leggendo il post “Aokigahara (Jukai), la foresta dei suicidi“ del sito sognandoilgiappone, pubblicato il 12/01/2018. Il post “The Suicide Manual” del blog insidetheobsidianmirror, invece, data del 18/06/2012, ma nel parlare del film del quale porta il titolo, del regista Osamu Fukutani, sono convinta che esso vada a trattare di un tema, ahimé, ancora fin troppo attuale: della fama del manuale “The Complete Manual of Suicide” di Wataru Tsurumui, pubblicato per la prima volta nel 1993 da una vera e propria casa editrice, e la cui vendita viene raramente vietata ai minori di 18 anni. Come lo dice il suddetto post, questo manuale ha venduto ben più di un milione e mezzo di copie (e questo è soltanto il calcolo fatto nel 2012). I suicidi sono aumentati un po’ dappertutto (sia di uomini che di donne, e sia di adulti che di minorenni), me ne rendo conto. In questo caso, però, volevo anche accennare al fatto che una sorta di morbosa “cultura del suicidio” sembra essere semi-tollerata (legalmente parlando) sul suolo giapponese. Il fatto che il Giappone sia un paese dove il tasso di suicidi è, spesso e volentieri, il più alto a livello mondiale (dalle informazioni che ci giungono dagl’altri paesi – non mi azzardo, ad esempio, a fare ipotesi vere e proprie sulle cifre reali dei suicidi nella Corea del Nord), non data di ieri: il problema, non sta facendo altro che peggiorare. Chiamiamolo poco… Per non includere, in questo post, soltanto elementi inneggianti il suicidio, ci tengo a consigliarvi anche la lettura di un romanzo che, al contrario, cerca di aiutare le persone che, contro questo impellente impulso di togliersi la vita, per i motivi e le problematiche più disparati, si ritrovano a dover combattere. L’autore del suddetto libro tratta dell’argomento in maniera comica ma anche, secondo me, profonda e d’effetto: “Il negozio dei suicidi”, di Jean Teulé.
Les nuages, la fumée tissent emportées par le vent des brins de lumière dans ce jour de soleil.
Elles tissent en douceur rapide comme un oreillet tisse des rêves dans la tête de son hôte encore endormi.
Un nuage se promène sur un mur et le train tisse son chemin avec nos chemins.
Notre regard tisse la sortie du chemin en dehors du tunnel, sans ramasser les miettes des reflets des maisons qui, à leur manière, sortent d’elles mêmes et sont bien parties pour flâner.
Les plantes escaladent les fênetres et finissent par faire partie du paysage. La lumière clignote, se retrouve dans son reflet: et tisse avec lui l’esquisse d’une nouvelle planète.
Le nuvole, il fumo tessono trasportati dal vento un filo di luce in questo giorno di sole.
Tessono con una delicatezza accellerata come un cuscino tesse dei sogni nella testa dell’ospite ancora addormentato.
Una nuvola passeggia s’un muro ed il treno intreccia il suo cammino con i nostri cammini.
Il nostro sguardo tesse l’uscita del cammino all’infuori del tunnel, senza raccogliere le briciole dei riflessi delle case che, a modo loro, escono da loro stesse e sembrano pronte per gironzolare un po’.
Le piante si arrampicano sulle finestre e finiscono per far parte del paesaggio. La luce lampeggia, si ritrova nel suo riflesso: e tesse insieme a lui lo schizzo di un nuovo pianeta.
“Benvenuto sul mio canale. Sono un regista e qui troverete principalmente i video del mio diario filmato quotidiano “Dei giorni”. Sono video poetici, fuori dagli schemi, riflessivi, contemplativi, postati quotidianamente. “Des jours” is a daily visual diary by Patrick Muller ”
Questa è la presentazione di Patrick Muller (pseudonimo o nome vero? Lo ignoro) sul suo canale youtube, denominato, appunto, Patrick Muller. Sono ormai più di tre anni che manda avanti questo progetto, che ho trovato veramente degno di nota. Simbolo di fantasia, di poesia, ma anche di forza, coraggio, perseveranza. Per molto tempo, i suoi video sono rimasti senza commenti, senza like, senza visualizzazioni. E lui ha continuato lo stesso: perché era il cuore del suo progetto la chiave. Provare a condividerlo era anche importante, sicuramente, ma secondario. Lui filma, monta i video, mentre la loro colonna sonora, invece, è composta da Sylvain Legeai.
Di argomenti su cui riflettere, di cui parlare, che possiamo sentire più o meno vibranti, o dissonanti in noi, l’attualità, la politica, la vita… Ha sempre da proporcene. Oggi io, però, voglio soltanto proporvi un po’ di magia, questo 30 dicembre, il giorno del mio trentesimo post, scrivendo una poesia sul suo video proprio del 30 dicembre, il suo 1118° giorno, intitolato “Des jours #1118 – Tisser les jours”. Questa è la magia che ha condiviso con noi, ogni giorno, Patrick Muller. Per più di tre anni:
Mentre una nonna ride condividendo i fichi d’india del suo giardino con il suo nipotino preferito, una bambina circoncisa dalla vagina ormai impregnata di sporco, umiliazione e malattie, di dolor tace. Un neonato nasce facendo rimbombare le sue grida tra le pareti della clinica, di quelle dove le ostetriche cantano facendo i primi bagnetti note di rose e di zucchero. Un ragazzino dalle mani screziate dalla polvere delle case e dai frammenti delle bombe ed una ragazzina dai piedi e dalle gambe amputati dalle macerie del terremoto, “troppo forte” cercano di regolarmente respirare. I loro sbuffi d’ossigeno permeano gli istanti che gli sono propri all’unisono: corrispondono tutti ai riflessi di una stessa e medesima goccia. Un coltello di zanna di mammuth è conficcato nel manto e nella spina dorsale dell’ultima tigre… Un vaso cade in pezzi nella testa della bambina.
Il pensiero che desidero condividere con voi oggi non è facile, me ne rendo conto; ma sono convinta che, condividerlo, sia importante: noi esseri umani usiamo una parte troppo limitata di noi stessi, e siamo forse noi stessi troppo limitati di natura, per comprendere la complessità di questo mondo. E quindi, lo vivisezioniamo. Proviamo a farlo con tutto: con gli esseri umani, con gli animali, con le piante, con le molecole, con le emozioni nostre ed altrui; e persino con il tempo. In realtà, però, è tutto un guazzabuglio, un miscuglio ricco di follia e di saggezza che non riusciamo a cogliere, ma che sentiamo il bisogno di capire, di avere sotto controllo (e magari, spesso e volentieri, pure di controllare) il più possibile. Ma come si fa a riuscire ad illudersi davvero di assaporare, di avere in pugno l’integralità del secondo in cui viene al mondo un bambino, preparata la cena, circoncisa una bambina, piantato un albero in Etiopia, fatta esplodere una bomba, salvata una tigre in più, un terremoto, vista una nonna ridere mentre mangia i fichi con il suo nipotino… Ed in cui vengono rilasciati solo alcuni dei bambini rapiti da Boko Haram?
Oltre all’articolo che potete trovare su RaiNews, di autore sconosciuto, del 17 dicembre del 2020, vorrei condividere con voi anche quello su 20minutes, di Kola Sulaimon, pubblicato il 18 dicembre del 2020, perché il primo è inesatto su più punti: dice che “i 344 ragazzi rapiti da Boko Haram sono stati rilasciati”. Non specifica, però, che in realtà i ragazzi rapiti in origine erano all’incirca cinquecento. E che, da quel che ci è stato riportato, sono arrivati sfiniti, privi di forze. Il loro viaggio verso casa, in realtà, alle date dei due articoli, non era ancora finito. E, secondo quanto dice il secondo articolo, è dal 2014, purtroppo, che Boko Haram manda a rapire bambini e giovani ragazzi. Lo abbiamo anche visto insieme nel post dell’11/11/2020 “Des vibrations: delle vibrazioni”. Ed ha usato, più volte, questi bambini e giovani ragazzi come bombe umane, facendoli morire in maniera orribile: da kamikaze. Come armi. Tutto il mondo può riassumersi, trovarsi nell’integralità dello spazio di un secondo: è pieno dei vuoti e delle realtà degli orrori e delle meraviglie dell’Universo.
Linea dorata fissa su un fiore per contornarlo. Polline di aranciata senza sapore. Torre di foglie lo protegge. Sembra un dipinto… Mi ha ingannato: è un porta ombrello!
“Non ci sono complotti, alla macchina del caffé di un’azienda? Tu non mormori di questo, di quell’altro..? È una costante umana. Chiamiamoli complotti, intrighi, trame… Questo esiste dall’inizio della storia dell’umanità. Trasferisci il concetto all’ambito geopolitico. L’intenzione di colui che crea queste “realtà del complotto” è farti credere che non esistono. Per questo hanno il potere. Esistono teorie del complotto? Ne nascono tutti i giorni!”
È con questa citazione del militare Pedro Baños che ho deciso di aprire il qui presente post, subito dopo la poesia. Ispirata dal video di Mortebianca “La Filosofia di Greta Thunberg”, pubblicato il 10/12/2020, ho deciso di trattare del problema, oltre che di disinformazione, soprattutto di cattiva informazione (o fake news) che gira intorno, oltre a fin troppi argomenti storici e di attualità, al cambiamento climatico. Non tanto a Greta Thunberg e, per chiarire meglio questo concetto, ho voluto condividere con voi anche il video “Due parole conclusive su Greta Thunberg” di Breaking Italy, messo in linea il 25/09/2019. Ed oltre all’articolo di Regione Emilia-Romagna, Assemblea Legislativa di Federica Milioni, del 2019 (data esatta non pervenuta), sulla tematica citata qui sopra, ci tenevo a consigliarvi la lettura del libro “La Pianta del Mondo” di Stefano Mancuso, che sto leggendo, e dove ci vengono non solo raccontate storie, ma dove il suo autore insiste sull’importanza di riempire le metropoli di alberi (come lo disse, a suo tempo, il filosofo John Evelyn). Per sottolineare quanto le fake news siano, purtroppo, presenti anche negli argomenti all’apparenza più “leggeri”, portandoci spesso a dubitare pure di fatti vagamente sorprendenti, vi posto, come ultimo link, anche un video di Space Valley: “Riconosci la FAKE NEWS?”, pubblicato il 2 aprile del 2020.
Rosicchiano le Cavallette. Sogghignano nelle orecchie di chi invoca Dio. Aiuto. Suona con il machete il violino la Morte in questo Massacro.
Sul canale youtube Carnet de Bord – HUMANITAIRE, nel video “Les brèves HUMANITAIRES #6”, pubblicato il 27/11/2020, dal minuto 2.50, si parla brevemente della situazione in Etiopia. Vorrei condividere con voi anche due articoli, uno del sito Courrier International, ed un secondo del sito ANSA, l’uno pubblicato il 27/11/2020, e l’altro il 28/11/2020, da autori anonimi.
Sul sito della fao, nella pagina del Criquet pèlerin, si può anche trovare qualche informazione, breve e concisa, datata del 03/12/2020, sull’invasione delle cavallette che continua, che avanza. Che devasta.
Battito senza fine dal ritmo mobile. Traditore. Corda vibrante nel sentiero pieno di terriccio e di piedi danzanti: dalle dita piene di tagli e ossa denutrite. Sole: creatore dello scenario. Distruttore degl’attori… Spettatori.
Gli italiani non potranno andare in Settimana Bianca… Hanno bisogno del bonus per fare i regali… Per rilanciare l’economia. E l’economia degl’alimentari? Della cultura? E la fame che aumenta? Le persone che non riescono a mangiare dignitosamente, che si sono ritrovate senza più una casa, sono aumentate e continuano ad aumentare drasticamente (e non solo in Belgio, ma anche in Italia). Non che prima fossero poche, però la situazione sta peggiorando a vista d’occhio.
Non disdegnerei sentirne parlare un po’ più spesso. Nonché sentire qualche politico esordire con una o più proposte concrete e non paraventiste (per non dire altro) al riguardo. L’inverno sta arrivando, anzi, a livello di temperature, è già qui: gli anziani hanno le mani rosse e screpolate dal freddo, a volte anche ferite, e neanche i più giovani se la passano benissimo (le più piccole che ho visto? Erano del 1995, e del 1996. Del 1995. E del 1996 – Mi sto trattenendo per non imprecare).
Vorrei condividere con voi questo articolo di euronews, pubblicato il 16/11/2020, e scritto da Isabel Marques da Silva, ed anche una canzone di Samuel Devin, Les Autres. Quando ci decideremo ad utilizzare i nostri, di alberghi vuoti?